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Aree di classificazione: DIRITTI DEL LAVORO 

MAGISTRATURA: CORTE DI CASSAZIONE
LUOGO: Roma
DATA: 14 luglio 2008
TIPO: Sentenza
NR. PROVVEDIMENTO: 19289


TITOLO: in caso di patto di prova stipulato con un invalido, assunto in forza di legge, il datore di lavoro che vuole recedere non è obbligato ad una comunicazione formale sui motivi del recesso. Ma l'eventuale assegnazione all'invalido, in sede di assunzione obbligatoria, di mansioni incompatibili comporta comunque la nullità del recesso in prova che assuma a motivo determinante la sua ridotta attitudine al lavoro e quindi lo stato di invalidità del lavoratore assunto.


> Il fatto

Un lavoratore assunto in una impresa edile svolge il periodo di prova, ma viene licenziato per non averlo superato. Ricorre in Tribunale contestando la compatibilità delle mansioni affidategli rispetto alle menomazioni da cui era affetto quale invalido civile, nonchè in ordine alla mancata motivazione, nell'atto di recesso, in ordine alle ragioni della valutazione negativa dell'esperimento oggetto del patto di prova. Sia in primo che in secondo grado il Giudice respinge la richiesta del lavoratore. Si appella quindi in Cassazione che ribalta il giudizio.

> La massima

Il recesso da parte del datore di lavoro, in caso di patto di prova stipulato con un invalido assunto in base a quanto stabilito dalla legge sulle assunzioni obbligatorie, non è soggetto alla disciplina limitativa sui licenziamenti individuali. Pertanto, non è necessaria una comunicazione formale sui motivi del recesso. Il lavoratore, da parte sua, potrà contestare il recesso stesso in sede giudiziale, allegando fatti, compresa l'elusione della legge protettiva degli invalidi, che dimostrino l'illiceità del motivo del recesso e l'invalidità dell'atto stesso.

> Testo per esteso

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAVAGNANI Erminio - Presidente -
Dott. FIGURELLI Donato - Consigliere -
Dott. MAIORANO Francesco Antonio - Consigliere -
Dott. LA TERZA Maura - Consigliere -
Dott. IANNIELLO Antonio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
P.B., elettivamente domiciliato in ROMA VIA LORENZO IL MAGNIFICO 110, presso lo studio dell'avvocato SERRAO BERNARDO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
B. COSTRUZIONI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA ACHILLE PAPA 7, presso lo studio dell'avvocato CANALI DE ROSSI STEFANO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 4357/04 della Corte d'Appello di ROMA,
depositata il 18/11/04 R.G.N. 3913/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/05/08 dal Consigliere Dott. Antonio IANNIELLO;
udito l'Avvocato PANNAIN per delega CANALI DE ROSSI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 18 novembre 2004, la Corte d'appello di Roma ha confermato integralmente la sentenza in data 8 luglio 2002, con la quale il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, aveva respinto le domande di P.B. di impugnazione, come licenziamento illegittimo, di cui aveva chiesto l'annullamento con le conseguenze di cui all'art. 18 S.L., del recesso per mancato superamento del periodo di prova comunicatogli in data 15 luglio 1998 dalla B. Costruzioni s.r.l., che l'8 luglio precedente lo aveva assunto, quale invalido civile avviato obbligatoriamente, con la qualifica di operaio comune-manovale e con patto di prova di cinque giorni.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale aveva disatteso le censure svolte dall'appellante relativamente alla compatibilità delle mansioni affidategli rispetto alle menomazioni da cui era affetto quale invalido civile, nonchè in ordine alla mancata motivazione, nell'atto di recesso, in ordine alle ragioni della valutazione negativa dell'esperimento oggetto del patto di prova.
Avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma propone rituale ricorso per cassazione P.B., sulla base di un unico articolato motivo.
Resiste alle domande la società con proprio tempestivo controricorso, depositando altresì una memoria difensiva ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo di ricorso, la difesa di P.B. censura la sentenza impugnata per la violazione o la falsa applicazione della L. 2 aprile 1968, n. 482, e dell'art. 115 c.p.c., nonchè per l'insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.
Secondo il ricorrente, infatti, la Corte avrebbe confuso il concetto di mansione pesante con quello di mansione semplice, omettendo in particolare di motivare in ordine alla compatibilità di alcuni compiti, tra quelli pur enunciati in sentenza, semplici ma gravosi - come il trasporto all'interno del cantiere edile di una carriola piena di materiale e come quello di salire le scale di una impalcatura di cantiere per portare le punte di martelli pneumatici agli operai specializzati - con le minorazioni di cui il lavoratore era affetto e risultanti sia dal certificato di invalidità che dalla relazione della C.T.U. medica disposta nell'ambito di un precedente giudizio del 1990 promosso dal P. per ottenere l'assegno di assistenza.

La Corte si sarebbe viceversa limitata a rilevare che le mansioni affidate al lavoratore avviato obbligatoriamente erano le meno gravose tra quelle di cantiere e a richiamare la giurisprudenza, peraltro formatasi sull'argomento del rifiuto di assunzione dell'invalido e quindi non pertinente in relazione al caso in esame, secondo la quale l'imprenditore è tenuto ad assegnare all'invalido unicamente mansioni disponibili in azienda.
Inoltre, erroneamente la Corte non avrebbe ritenuto di rilevare la illegittimità del recesso, pur in prova, per la mancata contestuale motivazione delle ragioni dello stesso, motivazione che nel caso di recesso in prova dell'invalido avviato obbligatoriamente sarebbe funzionale alla verifica della correttezza di esercizio del relativo potere, onde evitare abusi o l'elusione degli obblighi gravanti per legge sui datori di lavoro.
Ma anche la motivazione del recesso fornita dall'impresa solo in sede di costituzione in giudizio e confermata dall'istruttoria, riguardante la riluttanza o la scarsa efficienza del ricorrente nello svolgere quelle mansioni pesanti già indicate, non sosterrebbe in alcun modo la decisione dei giudici di merito, proprio in ragione del fatto che i relativi risultati confermerebbero l'incompatibilità di tali mansioni o comunque la necessità di approfondire il tema della compatibilità delle stesse con lo stato di salute dell'invalido, in applicazione della regola per cui la prova non può essere condotta con l'invalido avviato obbligatoriamente sulla base di mansioni che investano il suo stato di invalidità (Cass. S.U. 27 marzo 1979 n. 1763).
Il ricorrente chiede pertanto l'annullamento della sentenza impugnata, con ogni conseguenza di legge.

Il ricorso è fondato.

Va premesso che la censura che investe la correttezza giuridica nonchè la completezza della motivazione della sentenza laddove i giudici di merito hanno omesso di rilevare la violazione da parte della datrice di lavoro dell'onere di motivare il recesso in prova del dipendente assunto obbligatoriamente appare superata dalla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte.
Superando infatti precedenti contrastanti arresti (riteneva la necessità di una motivazione contestuale, ad es., Cass. n. 1560/94; optava per una motivazione anche non contestuale, ad es., Cass. n. 9705/00, mentre Cass. 3920/02 aveva escluso ogni obbligo di formalizzazione dei motivi), le sezioni unite di questa Corte (Cass. S.U. 2 agosto 2002 n. 11633, seguite dalla giurisprudenza successiva: cfr., ad es. Cass. sez. lav. 27 gennaio 2004 n. 1458), hanno composto il contrasto, affermando che "nell'ipotesi di patto di prova stipulato con invalido assunto in base alla L. 2 aprile 1968, n. 482, il recesso dell'imprenditore è sottratto alla disciplina limitativa del licenziamento individuale contenuta nella L. 15 luglio 1966, n. 604, onde non richiede una formale comunicazione del motivo del recesso".
Ne consegue che il recesso in prova dell'invalido civile avviato obbligatoriamente al lavoro ai sensi della L. n. 482 del 1968, (abrogata dalla L. 12 marzo 1999, n. 68, ma applicabile al caso in esame ratione temporis) può essere direttamente contestato dal lavoratore in sede giudiziale, allegando i fatti (l'onere probatorio relativo alla sussistenza dei quali grava su di lui in base alla regola generale di cui all'art. 2697 c.c.) che dimostrino l'illiceità del motivo e pertanto la nullità dell'atto negoziale unilaterale.
E' stato, in particolare, affermato dalla costante giurisprudenza di questa Corte (a partire da Cass. S.U. 27 marzo 1979 n. 1763, a seguire, ex ceteris, con Cass. sez. lav. 16 agosto 2004 n. 15942; ma vedi altresì la Corte Costituzionale con la sentenza 18 maggio 1989 n. 255) che, in relazione alle finalità perseguite ed al principio inderogabile della parità di trattamento di detti soggetti con gli altri lavoratori (art. 10), la legge citata impone: a) che la prova venga condotta in mansioni compatibili con lo stato dell'invalido o menomato; b) che non sia riferibile a condizioni di minor rendimento dovuto all'invalidità; c) che il giudizio negativo reso dal datore di lavoro sia assoggettato al sindacato dell'autorità giudiziaria, risultando il recesso viziato da motivo illecito in caso di violazione delle due prime condizioni.

Nel caso in esame, il ricorrente, fin dall'atto introduttivo del giudizio e poi in appello, aveva lamentato che i compiti assegnatigli dal datore di lavoro, quale manovale di cantiere edile, fossero incompatibili con il suo stato di invalido, sicchè l'esperimento oggetto del patto di prova sarebbe stato condotto alla stregua di mansioni che il lavoratore non era in grado di svolgere adeguatamente in ragione delle menomazioni per le quali era stato riconosciuto invalido civile, rendendo conseguentemente il recesso per mancato superamento della prova nullo per illiceità del motivo.
Dei compiti esposti nel ricorso ex art. 414 c.p.c., come assegnati al P., erano stati accertati in giudizio i seguenti: "doveva portare la carriola al personale che stava effettuando gli scavi, doveva aiutare a togliere gli stuoini di protezione degli intonaci delle scale, dare le punte agli operai specializzati e provvedere alla pulizia delle scale" (v. pag. 5, in fine, della sentenza impugnata).
Il ricorrente ha dichiarato e documentato in giudizio di essere stato riconosciuto invalido civile con una minorazione della capacità lavorativa del 70%, in quanto affetto da un "marcato stato psiconevrotico ansioso depressivo con somatizzazioni multiple nonchè da "coxartrosi sinistra e spondilartrosi diffusa" (come da certificato di invalidità), con conseguente limitazione di un terzo dell'articolarità cervicale e del tronco nelle varie direzioni e di circa la metà dell'articolazione coxofemorale sinistra e la riduzione di pari grado dell'articolazione tibio-peroneo-astragalica e sottoastragalica omolaterale (come da relazione di C.T.U. nel giudizio del 1990 per l'ottenimento dell'assegno di assistenza).

Egli ha pertanto sostenuto che, in particolare, le mansioni di trasporto con una carriola del materiale di risulta da scavi e di ascesa per le scale di una impalcatura per portare agli operai le punte dei martelli pneumatici, che sono le due principali mansioni in ordine alle quali la sentenza impugnata ha valutato carente la prestazione del P. sono incompatibili col suo stato di invalidità e che tale situazione non è stata valutata dai giudici di merito.
In proposito risulta effettivamente dall'istruttoria testimoniale svolta (il cui testo è riportato in ricorso) nonchè dalla sentenza di primo grado che ne riassume i risultati per argomentare il rigetto delle domande (va ricordato che in via di principio, nella valutazione, in sede di legittimità, della motivazione della sentenza d'appello di sostanziale conferma di quella di primo grado, i due atti si integrano, in un quadro di riferimento segnato dall'adozione di criteri di valutazione omogenei e da una struttura logico-argomentativa uniforme (in tema, cfr., recentemente, in motivazione, Cass. 9 febbraio 2006 n. 9553 e la giurisprudenza ivi richiamata) che il ricorrente trasportava le carriole, collaborava a togliere gli stuoini di protezione degli intonaci e curava le pulizie di cantiere, ma era lento nello spostare le carriole, non saliva sul ponteggio per porgere agli operai specializzati le punte e non indirizzava, spazzando, l'acqua verso le fognature.

Nonostante le ripetute istanze del ricorrente, la Corte territoriale ha omesso ogni specifica motivazione in ordine alla compatibilità di tali mansioni assegnate al ricorrente - e sulla base dello espletamento o non espletamento delle quali ha ritenuto l'esito negativo dell'esperimento oggetto del patto di prova - con le menomazioni da cui è affetto quale invalido civile, limitandosi a richiamare in proposito la giurisprudenza di questa Corte relativa alla diversa materia della delimitazione dell'obbligo di assunzione dell'impresa destinataria di un avviamento obbligatorio nell'ambito delle mansioni esistenti in azienda.
Ed invero l'eventuale assegnazione all'invalido, in sede di assunzione obbligatoria, di mansioni incompatibili comporta comunque la nullità del recesso in prova che assuma a motivo determinante la sua ridotta attitudine al lavoro e quindi lo stato di invalidità del lavoratore assunto mentre l'eventuale inesistenza in azienda di mansioni compatibili - tema comunque estraneo alla materia del contendere tra le parti - può semmai giustificare la mancata assunzione dell'invalido avviato obbligatoriamente.
In assenza di una specifica considerazione e motivazione in ordine alla contestata compatibilità delle mansioni assegnate rispetto alle menomazioni inducenti l'invalidità civile del P., il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va conseguentemente annullata, con rinvio, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione, la quale, nell'operare una nuova valutazione della validità del recesso in prova impugnato, si atterrà ai principi di diritto sopra richiamati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 12 maggio 2008.
Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2008

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